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architettura partecipata

La nostra professione di architetti è in un momento di forte rinnovamento: segnali molto contrastanti ci spingono a riflettere su quali possibili riorganizzazioni dovremmo attuare per incrociare i nuovi riti sociali ed economici, che stanno segnando la nostra epoca. Vi è un doppio motore che traina questa rivoluzione: da un lato le nuove tecnologie e dall'altro una crisi congiunturale di lunga durata dettata in larga parte proprio dall'introduzione dei sistemi virtuali. Porto a testimonianza due eventi culturali recenti.
Il primo è il testo di  Carlo Ratti, Architettura Open Source sottotitolato Verso una progettazione aperta. La tesi del testo si incontra verso le ultime pagine quando afferma: "A far nascere un progetto sarebbero le peculiarità di ciascun gruppo e il contesto in cui opera; trarrebbe grandissima forza dalla rete, con l'architetto corale a svolgere il ruolo di moderatore".

carlo ratti architettura-open-source



Una sola frase dotata di differenti sfaccettature sulle quali è difficile concordare in toto ma neppure è possibile prendere le distanze, se non addirittura condividerne la visione. Il progetto frutto di contributi diversi. Oggi è inevitabile: si sono talmente elevate le prestazioni richieste ad un progetto che è impensabile che tutte le risposte risiedano nella mente di un singolo. Anche gli spunti socio-culturali devono provenire da ambiti culturalmente specializzati. La figura dell'architetto corale: nelle pagine non si capisce molto bene cosa debba fare. Io penso che in questo processo complesso debba introdurre le informazioni utili, scegliere tra quanto il sistema partecipativo offre e giungere ad una concretizzazione formale del quale lui, o comunque il team di progettisti, sarà unico riferimento, escludendo ogni altra figura. Pensare al progetto, nelle fasi di composizione, come un processo partecipativo democratico non è tanto una illusione, quanto un errore. Non regge il paragone con la nascita del web e dei programmi open source citato dall'autore: sono sistemi di produzione completamente differenti. La programmazione consente fasi di avanzamento e ripensamento, in continuo perfezionamento. L'opera di architettura si confronta con il fattore tempo -che la programmazione non ha- e con il fattore luogo -nel senso di ambiente e società- sul quale impatta. Tutta il libro accenna a questioni condivisibili, come i processi partecipativi dal basso alle fasi di istruttoria (io mi fermerei lì), alle esperienze passate dei movimenti collettivi e situazionisti, e soprattutto è condivisibile la tesi di fondo che il processo progettuale sia un processo interdisciplinare.

Perspective view of a canon forge; engraved by Coquet et Bovinet

Tuttavia ha cadute gravi che sfiorano la mistificazione storica nei primi capitoli quando tratteggia una figura mitica di architetto prometeico che da Ledoux a Le Corbusier fino ai giorni nostri con Renzo Piano e archistar (termine da abolire) pare imperversare come un alieno caduto sulla terra, ignorando totalmente quanta cultura condivisa, e fin dalla storia, interdisciplinare e partecipata c'è sempre stata alle spalle anche dei grandi nomi, i quali non erano e sono i finalizzatori di tali fenomeni complessi. Quindi tra strafalcioni e paragoni impropri emerge ogni tanto qualche accenno ad esperienze innovative da sperimentare e soprattutto un rinnovato invito ad un allargamento a utenti attivi di differenti provenienze nella costruzione dell'architettura.  Questo non possiamo che auspicarlo poiché la portata culturale incarnata dall'architettura è patrimonio di ogni cittadino, è ricchezza per l'ambiente.
IL secondo è un evento dell'anno passato al quale ho partecipato con grande curiosità. Quando sono uscito mi sentivo come uno degli ultimi dinosauri superstiti al misterioso evento che li ha pressoché estinti. Uno di quegli ultimi dinosauri che si accorge che molto presto farà la stessa fine di tutti gli altri se non tenterà di allontanarsi da quel posto dove ora giacciono gli altri cadaveri di chi si era intestardito a rimanere, per provare a risalire la china e tentare di trovare nuove risorse altrove, e altrove riprodursi. Forse troppo tardi. Forse ancora un'ultima speranza.


Dalla conferenza "Gli Antifragili" organizzata a Parma presso il Teatro Farnese da CNA, si esce un po' con questo umore, soprattutto se sei un architetto. Di fronte alla descrizione delle dinamiche in corso che regolano e agevolano i processi economici e l'organizzazione del mercato imprenditoriale con l'avvento della digitalizzazione, ci si sente quasi tagliati fuori o, se si preferisce, chiusi dentro un recinto tenuto in assedio e pronto alla resa per fame.
cna gli antifragili
La curiosità sta nel fatto che ad organizzarla sia stata un'associazione di categoria per artigiani e che il terreno comune con il mondo professionale sia tanto vasto che alcune testimonianze portate fossero attinenti per contenuti e per dinamiche ad entrambi i settori. Ciò è sottolineato dal fatto che diversi architetti svolgono attività creative che comportano una buona porzione di artigianato e che i cosiddetti artigiani digitali, o makers, organizzino la propria attività con processi produttivi che hanno nell'atto progettuale il momento centrale. Per entrambi oggi si pone la questione di come posizionarsi nei nuovi mercati che insistono contemporaneamente alla scala locale quanto a quella globale -anzi che fanno di questo doppio regime una dinamica basata sull'ambiguità per cui lo stesso contenuto è vendibile sia come local che come global per l'appeal che si conferisce al prodotto, e per la capacità di posizionarlo a km0 quanto veicolarlo via corriere in tre giorni dall'altra parte del globo. L'altra questione, che sta alle spalle delle dinamiche economiche, è quella delle strategie di comunicazione offerte dai nuovi media.









Dalle testimonianze portate e dai dati statistici illustrati sono emersi alcuni fattori da mettere in atto per raggiungere un salto di paradigma culturale: il primo è la presa di coscienza che siamo un paese analogico in un contesto fortemente digitalizzato. Ci stiamo incaponendo, a partire dalle governance di ogni ordine e livello, ad insistere sulla continuità di processi economico lavorativi che non trovano più riconoscimenti, tanto da non essere neppure compresi, come se parlassimo un dialetto locale che non ha traduttori diffusi. Un altro è quello dello sharing, ossia la condivisione delle informazioni. Occorre superare la mentalità del segreto della propria conoscenza e, all'opposto, mettere il più possibile in circolo le informazioni nei canali a disposizione poiché quelle informazioni che ci ritorneranno saranno più ricche di quelle che possedevamo. Ciò influenzerà più positivamente il nostro know how che la riservatezza. Ed infine le strategie di comunicazione da sfruttare grazie alle potenzialità dei media digitali. L'ingaggio di committenti o di attori che possono intervenire a sostegno delle attività imprenditoriali è dimostrato che tramite l'utilizzo dei canali internet, oltre ad essere molto superiore rispetto ai mezzi più tradizionali, segue dinamiche e tecniche ormai sperimentate, tanto da dover necessitare di personale specificatamente dedicato. Social manager o open data analysis manager sembrano inevitabili all'interno di un'impresa e a questo punto di uno studio professionale di medie dimensioni.
L'opportunità è quella di un riassetto dei nostri studi professionali, rompendo quell'arroccamento a cui tendiamo noi architetti, iniziando a tessere nuove reti di collaborazioni, condividendo i mezzi e le conoscenze, così come stanno facendo gli artigiani digitali. Le ricadute sono molto interessanti, al di là della sopravvivenza. Cambiano le modalità lavorative, l'insediamento fisico e temporale dell'attività, con incidenze sugli spostamenti nelle città e nella rigenerazione di parti di essa. Cambiano anche i processi progettuali con nuovi esiti formali e nuovi contenuti.
Qualcuno sul palco ha detto che, forse citando Alessandro Baricco, quando le mura che abbiamo costruito per difenderci dai barbari sono crollate e gli invasori sono entrati, solo allora ci siamo accorti che i barbari eravamo noi.
Bene adesso lo sappiamo e siamo coscienti anche della preziosità dei tesori che custodiamo e delle capacità che ci hanno portato a inventarli. Ora usciamo dalle mura, impariamo i nuovi linguaggi che gli altri parlano e usciamo ad essere noi tra e con gli altri.
http://www.gazzamasseraarchitetti.it/

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